ell’ambito del riscaldamento domestico può capitare di sentir parlare di “consumo involontario”, ma che cosa significa?
Con questa denominazione si fa riferimento alle cosiddette perdite di sistema, ovvero quei consumi energetici che si verificano a prescindere da ciò che si è concretamente consumato e che sono dovuti appunto a dispersione.
La distinzione tra consumi volontari e involontari è stata introdotta dalla norma UNI 10200, e la sua ultima edizione, ovvero quella del 2018, può essere considerata come punto di riferimento per quantificare i consumi involontari.
La medesima stabilisce infatti che l’ammontare dei consumi involontari va determinato in base ai millesimi di fabbisogno, i quali vanno calcolati tramite una misurazione tecnica che risponde sostanzialmente a questa domanda: qual è la quantità di energia ideale di cui avrebbe bisogno un’abitazione per mantenere, per tutta la stagione di utilizzo del riscaldamento, una temperatura di 20°C?
Gli utenti che scelgono distaccarsi dall’impianto di riscaldamento centralizzato condominiale sono comunque chiamati a versare il loro contributo correlato appunto ai consumi involontari.
Nella quantificazione dei consumi involontari si possono distinguere due diversi approcci, ovvero la contabilizzazione diretta e quella indiretta.
La contabilizzazione diretta è applicabile solo ai condomini con impianti centralizzati a distribuzione orizzontale, dunque laddove la singola unità immobiliare sia dotata di un contatore in grado di quantificare i consumi volontari, mentre la contabilizzazione indiretta si fonda sull’installazione di un ripartitore di calore su ogni termosifone, o in alternativa su ogni termoconvettore.
In quest’ultimo caso il contabilizzatore non specifica direttamente l’ammontare dei consumi volontari, ma fornisce un dato che consente di quantificarlo in modo indiretto attraverso un raffronto con il consumo complessivo del condominio.
